13 Mag Pensieri colorati, un po’ multiculturali
A Padova mi muovevo in bici, una bici veloce, detta Flandria, l’avevo comprata al mercato di Midi a Bruxelles, durante il mio primo stage, costata quattro palanche, me l’ero portata a Strasburgo e poi mio padre ebbe la pazienza di caricarla in macchina per portarla fino a Padova. Ci tenevo un sacco, quando me la rubarono all’Arcella, un quartiere vicino alla stazione, dissi al poliziotto prima della denuncia che io ero sicura di ritrovarla, lui mi fece un sorriso paterno, beffardo, un po’ sarcastico, perché sapeva già che era impossibile. Con Flandria scorrazzavamo in lungo ed in largo, evitando il traffico di Padova. Quella sera c’era un festival multiculturale sulla tradizione Rom, c’erano conferenze, una lunga presentazione di Moni Ovadia e poi balli collettivi tenendosi tutti per mano, cibo tradizionale ed io ero entusiasta, felice. Sentivo la comunanza dello spirito umano che pervade tutte le civiltà nelle sue molteplici forme, un senso di appartenenza trasversale, la manifestazione suprema della tolleranza e dell’arte che ci accomuna nel nostro sogno di essere parte di un tutto. In pace. Mi sentivo leggera, leggera, leggera. E poi a fine serata tutti potevamo salire su un battello che percorreva il fiume Piovego, nuovamente navigabile grazie all’impegno di un’associazione molto attiva. Il viaggio prevedeva la scoperta della Padova fluviale, l’osservazione dei monumenti architettonici da un punto di vista completamente diverso, si’ perché il Piovego era il fiume che storicamente aveva permesso ai notai padovani di raggiungere Venezia per consulenze ai ricchi commercianti di tessuti e merci asiatiche. Dopo i dibattiti ed i balli, tutti a turno salimmo sul battello. Passavamo una bella serata fluttuante sulle note di un violinista rom che si cimentava in brani tradizionali, ed io ero sempre più estasiata e ringraziavo di cuore l’assessorato alla cultura per aver organizzato questa cosa così interessante. Tra i nostri amici c’erano scrittori latino-americani, vino, minigonne, libri, sensualità e speranze di una serata che produceva magia e molte attese. Fatto sta che si fece tardi, io dovevo tornarmene a casa in bici, ma dopo il giro in battello non avevo la più pallida idea di come ritornare al punto di partenza, dove avevo parcheggiato la bici. Camminai nelle stradine sperdute, cercando di raccapezzarmi, era tardi ed a quel tempo il navigatore non c’era e la mia vita era decisamente piu’ disorientata. Ad un certo punto, spuntò dal nulla un ragazzo di colore piuttosto massiccio che mi si parò davanti e mi chiese a brucia pelo: ‘ma tu lavori?’
Io non colsi completamente il senso della domanda, la mia mente pensava al problema da risolvere, ma mi sembrò educato rispondere. Avevo giusto firmato quel giorno il contratto di lavoro con l’Università, dopo mesi e mesi di sofferta ricerca ed ero parecchio contenta della cosa per cui risposi entusiasta e con un deciso ed orgoglioso: ‘SI!!!!!!!!’.
A quel punto mi parse assolutamente normale spiegare che avevo perso la bici e che la stavo disperatamente cercando, il ragazzo disse ‘OK allora prima ti aiuto a trovare la bici”, io lo ringraziai e lui si offri’ di cercarla, prese la sua bici ed io mi installai sul manubrio per poter osservare meglio i vicoli che attraversavamo. La mia fiducia nel mondo e nelle persone era totale, lui disse ‘secondo me tu non sai quanto è pericoloso questo quartiere,’ ma io mi muovevo come Alice nel paese delle Meraviglie tra i vicoli dell’Arcella e nel mondo tra mille speranze e personalissime convinzioni … difatti fummo cosi’ fortunati da ritrovarla. Io esultai, aprii’ il lucchetto, ringraziai e cominciai a pedalare verso la mia casa da stagiaire. Non mi accorsi però che mi seguiva, mi seguiva, lui mi seguivaaaa…a quel punto accelerai, sempre di più, arrivai a casa e col fiatone di Moser, chiusi il portone e me ne andai a casa agitata, lasciandolo giusto dietro la porta. Solo allora mi si chiarì che avevo creato aspettative sbagliate, che non avevo capito e che la persona davanti a me non era affatto malvagia ma avrebbe potuto esserlo, insomma fui molto contenta di essere a casa. Mia sorella mi rincuorò con un ‘ma sei completamente cretina!’ Ed allora fui invasa da pensieri colorati, di musica, di paura, di danze e di riflessioni e pensai che il vero multiculturalismo ha senso solo quando si capiscono le domande e si sanno dare le risposte giuste, ma soprattutto quando l’interesse e la fiducia si fondono alla comprensione della realtà, oltre le infinite distanze per non perdersi davvero.